Doping nel Giro che ha vinto

Ora racconta tutto e ha già deposto in quattro Procure.

Un pentito contro Simoni

(articolo di LUCA FAZZO e MARCO MENSURATI)


MILANO - Nome in codice, testimone Tau. Dieci anni sul sellino, prima da dilettante, poi come professionista. Campionati italiani, competizioni internazionali, fino alle copertine e al ciclismo che conta. Come compagna, lei, la "bomba": in muscolo, in vena, comprata, contrabbandata, passata ad altri ciclisti ben più famosi di lui. Una bella mattina due pattuglie di sbirri gli saltano addosso come fosse un criminale. Quel giorno Tau decide di chiamarsene fuori e di raccontare quello che sa. Ora le sue dichiarazioni sono in mano a quattro diverse procure della Repubblica: hanno portato a buona parte delle scoperte di questi giorni, e ad altre porteranno in un futuro ravvicinato.


Come è cominciata?


"Col direttore sportivo, come quasi per tutti. Ci sono quelli che si bombano fin da ragazzini. Ma io quando ho cominciato non ci pensavo neanche. È stato il mio ds, un giorno, a spiegarmi che lui non mi faceva "fare la corsa", non mi metteva tra quelli destinati a vincere, perché "non mi curavo". E io, ingenuo: "Perché devo curarmi, che sto benissimo?". Poi ho capito cosa intendeva. Il giorno della prima dose, il dottore della squadra mi sorrise: "Finalmente anche tu nel mondo del doping". La prima volta che ho cercato di farmi una iniezione nel sedere da solo mi sono bucato otto volte. Poi è diventata un'abitudine. Fantastica: di colpo la bici comincia ad andare da sola, non senti più la fatica. Mi facevo di Epo, Gh, Sinacten Depo. Tutto quello che capitava sotto mano".

Il resto della storia di Tau è uno sprofondare senza freni, una ridda di personaggi loschi e riti criminali, un'abitudine che fa andare forte, dannatamente forte. "Non ci facevamo domande. L'importante era andare di più, sempre di più. C'è un farmaco molto usato che si chiama Igf3, nelle istruzioni c'è scritto "not for human use", non per uso umano. E noi: "Uau, se fa andare i cavalli figurati cosa fa a noi". Leggevamo i giornali per tenerci aggiornati sulle novità, quando leggemmo che un grande campione era stato beccato con l'Actovagin ci precipitammo tutti a comprarlo anche noi, a Chiasso non ne rimase più mezza fiala". Tutti sapevano tutto. E si creava persino una solidarietà, se ti restava una fiala sola la dividevi con chi era senza. "Se un compagno andava forte ti offrivi di procurargli tu la roba perché non si stressasse e pensasse solo a vincere".


E i controlli?


"Dormivamo con l'Emagel sul comodino, abbassa i livelli, oppure ci sparavamo in vena mezzo litro di soluzione fisiologica per diluire il sangue. A fine gara ci facevamo subito l'Andriol, che dà positività per sette giorni, ma la domenica successiva eravamo già puliti".


Come è entrato in contatto con il racket?


"La roba circola in ogni modo. Il canale di smercio principale sono i direttori sportivi, sono loro a venderla ai ciclisti. Il mio fornitore all'inizio era un massaggiatore della Gewiss, che spacciava Epo a 250mila lire a fiala. Un giorno ho rischiato di morire per una iniezione andata a male, e sono stato pure ricoverato vicino Milano. Qualche tempo dopo un dipendente dell'ospedale è venuto a casa mia: "Ah, lei è ciclista, se vuole le faccio uscire qualcosa" e mi ha venduto due milioni di roba. Un altro canale fondamentale sono le farmacie spagnole, quando i dilettanti vanno in Spagna fanno la scorta per tutta la squadra".


Ma la vera capitale di tutto è Napoli. "Un giorno un corridore di un'altra squadra, un ragazzo che conoscevo bene mi disse: perché non vai a Napoli a comprarla, lì costa pochissimo. All'epoca io quattromila unità di Epo le pagavo 250mila lire, a Napoli per 110mila mi davano 10mila unità. Di personaggi come Marzano a Napoi ce ne saranno duemila, un mercato straordinario. Dagli ospedali esce di tutto. Ho fatto una trentina di viaggi, ho cominciato a conoscere i personaggi del giro. Il mio team manager aveva capito, mi disse: "Ti tengo ancora un po', anche se vai piano. L'unica cosa è che mi devi procurare la roba". Nell'ambiente si sapeva che avevo questo canale, e spesso c'era chi mi chiedeva qualcosa".


Chi, per esempio?


"L'elenco sarebbe lungo: medici, direttori sportivi, colleghi. Durante il Giro d'Italia dell'anno scorso il medico di Simoni chiese in giro un po' di Igf3 e so per certo che l'ottenne".

È sicuro di quello che sta dicendo? Quel Giro Simoni lo vinse senza essere sfiorato da alcun sospetto.

"Non mi chieda come, ma lo so per certo. E l'ho spiegato per filo e per segno anche alla magistratura".

 E la Federazione, cosa fa?

"La Federazione sa tutto. I ciclisti azzurri vengono selezionati in base ai valore delle loro analisi. I selezionatori delle nazionali sono i primi a chiedere ai ds di tenerti "pronto" il determinato atleta per un certo appuntamento. Quando hanno fatto la squadre per le Olimpiadi davano persino il "rimborso" per i farmaci. Tipo nota spese. E quando tutta la nazionale della pista è stata beccata con il carico di roba, hanno convinto il povero Trentin a prendersene la responsabilità promettendogli che l'avrebbero coperto..."


(30 maggio 2002)