La donna bodybuilder è ai confini dell'universo femminile?

Articolo pubblicato su Cultura Fisica & Fitness, Anno XL, N. 334, settembre/ottobre 1997 © 97-2000

(di Roberta Micheli e Rossella Pruneti)


Prima di ogni altra cosa vogliamo spiegare il motivo di questo dialogo. Non è un'intervista, non è una discussione, non è un programma d'allenamento e nemmeno una competizione, dal momento che per questo sarebbe necessario un palco di gara. È un colloquio tra due agoniste di bodybuilding, tra due amiche, tra due donne. Ognuna di noi ha alle spalle un decennio di allenamento, di dedizione, di frequentazione con le persone (con le donne e con gli uomini), le gioie e i dolori del bodybuilding italiano. Questo è quello che importa, non tanto se possiamo "vantare" anche dei titoli agonistici. Abbiamo svolto il colloquio su una duplice falsariga: una di natura biografica, una bibliografica. Intendevamo commentare, avvalorandole o persino stroncandole in base alla nostra esperienza diretta, alcune tesi esposte in studi psicologici sulla personalità della donna atleta.


Rossella: Mi hai raccontato di aver deciso per l'agonismo quando ti sei vista muscolosa al pari di quelle che gareggiavano in contesti regionali e nazionali. Anche io mi sono decisa dopo aver visto un Gran Prix ed un regionale nel 1991; in quegli anni la linea femminile era chiamata "soft" e seguiva i criteri di femminilità e tonicità, evitando la muscolosità. Mi vengono spesso chieste le motivazioni che spingono all'agonismo. Sicuramente le foto della Ms. Olimpia Cory Everson e di atlete come Rachel Mc Lish hanno influito sulla decisione di allenarci e modificare il nostro aspetto. Dei loro corpi ritenevo desiderabili le gambe e i glutei. Credo che quelle sono le parti che ogni ragazza può indiscutibilmente invidiare ad una bodybuilder. Mentre per apprezzare la muscolatura del torace bisogna avere già sviluppato il gusto estetico per il bodybuilding "hard". Al contrario ci siamo decise a gareggiare sotto lo stimolo di canoni agonistici facilmente raggiungibili e dietro l'esempio di ragazze il cui impegno è durato appena una stagione come se la gara l'avessero fatta un po' per scherzo e un po' per scommessa. Insomma siamo state ispirate da modelli elevati ma poi ci siamo decise perché è stato semplice buttarsi nella mischia.
Roberta: Sicuramente nella seconda metà degli anni Ottanta e nei primi del Novanta le atlete agoniste italiane erano meno muscolose e presentavano una definizione molto meno marcata di quella che dobbiamo presentare attualmente sul palco di gara. La spettatrice delle competizioni di quel periodo, come siamo state io e te, era entusiasta nel vedere un corpo tonico, armonico, asciutto e muscoloso al punto giusto. Lì scattava l'immedesimazione e l'emulazione.
Rossella: Di fatto non abbiamo avuto la pazienza o forse il coraggio di attenerci a quei canoni, che nel frattempo sono diventati anacronistici. Molte atlete di quel periodo che conosciamo o si sono ritirate (volutamente o dopo dei clamorosi fiaschi) o hanno optato per il fitness. Le culturiste in Italia sono poche, ancora meno se si pensa alle diserzioni a favore del fitness. Mi sembra proprio che abbiamo fatto come quel cane di London che seguì i lupi ululando e divenne lupo pure lui. Non so se questo avanzamento verso una maggiore muscolosità e definizione sia stata una sorta di evoluzione del nostro sport (causata dalle atlete che si preparano sempre più professionalmente) o sia stata determinata da una scelta federale. In ogni caso mi è piaciuto seguirla. Mi rendo conto che la forma fisica maggiormente muscolosa e definita richiesta attualmente comporta maggiori sacrifici nell'allenamento e nell'alimentazione, una presa di posizione di fronte al doping, una revisione del concetto e dell'accettazione del Sé. Non sorprendiamoci se poche donne sono disposte a seguirci su questa strada. Quando ero istruttrice in palestra riconoscevo insieme alle allieve che la mia forma di gara e i sacrifici fatti per ottenerla erano una esasperazione ma che, con molto meno, potevano raggiungere quei risultati estetici che anche loro riconoscevano come desiderabili. Il bodybuilding femminile può avere ancora proseliti sotto forma di fitness, ma noi ora stiamo parlando di agonismo, ed è il settore femminile nel bodybuilding agonistico che sta soffrendo. Non credo che abbia aiutato la donna come persona l'inserimento delle gare fitness, piuttosto ha servito all'opinione pubblica il prodotto commerciale più richiesto: una donna che corrisponde alle esigenze e alle aspettative storicoculturali, non troppo muscolosa, sensuale e intrigante, bella, brava e atletica ma non troppo, ballerina e in abito da sera e tacchi a spillo! Non mi sembra un'evoluzione, e visto che mi trovo a metà (ossia rispetto alle fitness e alle hard io non sono né questo né quello) per amore del rispetto della donna come persona, do il mio pieno appoggio alle hard: esse rappresentano la più forte affermazione della femminilità vista negli ultimi 20 anni. Il messaggio che anche lo sport deve dare alle donne è quello di avere il coraggio di essere quello che vogliono, come ha detto Lenda Murray: "Voglio essere di ispirazione per tutte le donne, e non necessariamente come bodybuilder, ma perché trovino il coraggio di uscire allo scoperto per essere ciò che desiderano essere." [In un'intervista a Muscle & Fitness, n. 69, aprile 1997]
Roberta: Abbiamo assistito ad una vera e propria selezione. Con l'evoluzione di questo sport, dettata per lo più dal modello americano, è avvenuta una scissione vera e propria: da una parte troviamo il bodybuilding praticato esclusivamente a livello estetico e dall'altra si è affermato il bodybuilding nel senso letterale della parola, praticato ai fini di un vero e proprio sviluppo muscolare. Per me è quest'ultimo il bodybuilding vero! Il bodybuilding non è uno sport con una connotazione sessuale predefinita (come, un tempo, il nuoto sincronizzato riservato alle donne o la boxe riservata agli uomini).Ammettere due tipi di bodybuilding sembra avvalorare lo stereotipo che la donna sia guidata dalla ricerca del senso estetico mentre l'uomo cerchi di riconfermare la propria virilità per mezzo della forza. Intrusioni delle une nel campo degli altri sono viste come deviazioni. Una donna che ambisce a sviluppare i propri muscoli appare agli occhi della gente un uomo mancato, una "androgina". Di solito noi donne bodybuilder siamo bollate "androgine" ma per prima cosa questo termine viene usato dalla maggior parte della gente senza conoscerne l'esatto significato e, secondariamente, non è detto che una atleta donna androgina fisicamente lo sia anche psicologicamente (e viceversa). A pagina 132 del libro che stiamo leggendo c'è la definizione di androginia: "L'androginia è la coesistenza nello stesso individuo (uomo o donna) di peculiarità psicologiche culturalmente attribuite ai maschi e alle femmine. " Per capire bene la definizione e sottolineare che un aspetto fisico e una personalità androgina possono appartenere indistintamente ad un uomo o ad una donna, basti pensare che un ballerino di danza classica è androgino allo stesso modo di una Ms. Olimpia.
Rossella: Ora che ci siamo chiarite il significato esatto di androginia, possiamo dire che non è un termine offensivo. Un po' da tutti gli studi del prof. Salvini emerge infatti una donna "androgina" valutata in modo positivo e apportatrice di un'emancipazione psicologica rispetto ai ruoli tradizionali. Useresti il termine "androgina" per descrivere te stessa?
Roberta: Sì, perché dentro di me coesistono caratteristiche come la sensibilità e il senso estetico (tipicamente femminili) e come la determinazione e la forza di volontà (caratteristiche storicamente e culturalmente attribuite esclusivamente al sesso maschile).Soltanto dopo aver iniziato il bodybuilding la determinazione e la forza di volontà sono emerse in modo preponderante rispetto alla donna che non fa sport. Parlando con altre donne, non bodybuilder, mi accorgo che ho meno paure e titubanze nell'affrontare sia i problemi quotidiani che situazioni particolarmente difficili.
Rossella: In effetti anche per me le qualità che ho sviluppato nell'allenamento e nell'agonismo mi sono servite per affrontare gli studi con più grinta a dimostrazione che studio e sport non sono affatto inconciliabili. Praticati insieme danno dei risultati superiori alla somma dei risultati e delle soddisfazioni che darebbero se fossero affrontati separatamente in due diversi momenti della vita.
Roberta: Mi ricordo infatti che nel 1991 in un solo mese ho dovuto affrontare venti esami parauniversitari con relativa tesi, due concorsi abilitanti per l'insegnamento nella scuola e tre gare a livello nazionale di bodybuilding (e queste ultime si sono svolte solo a distanze di una settimana l'una dall'altra).
Rossella: Il bodybuilding indubbiamente ci dà una marcia in più per affrontare la vita, ci conferisce una forza e una consapevolezza interiore che non ha niente a che fare con l'aspetto corporeo se non nel senso che questo ne è soltanto il risultato materiale. Mi sento sicura per la forza interiore che mi ha conferito praticare questo sport e non per la corazza di muscoli che ho costruito. Per questo non amo ostentare, al di fuori della palestra e dei palchi di gara, il mio aspetto. Ma il fare un qualcosa che mi rende felice e mi dà modo di esprimermi mi permette di stare meglio con gli altri, di essere meno frustrata e più socievole.
Roberta: Contrariamente a quanto si creda, il bodybuilding favorisce la socializzazione. Molte volte ho visto ragazzi timidi entrare in palestra per la prima volta e dopo pochi mesi aprirsi giovialmente con tutti gli altri frequentatori. Molte volte i rapporti che nascono sul "campo di battaglia" si sviluppano anche al di fuori. Purtroppo i bodybuilder vengono considerati dei tipi poco socievoli, burberi da evitare o semplicemente dei buffoni per colpa di alcune "pecore nere" che girano ostentando un abbigliamento specifico per l'allenamento ma ridicolo per la strada. Rossella: Come abbiamo detto di fare pure noi, le donne raramente ostentano la propria muscolatura al di fuori dei contesti sportivi. Eppure vengono ingiuriate anche loro, anzi forse con più veemenza di quanto si faccia verso gli uomini, quasi per sgridarle di essere uscite dai canoni fissati. Un sintomo già grave di intolleranza sono le esclamazioni verbali e ancor prima gli sguardi insistenti che ti vogliono far credere una deviata. Sono molti i pregiudizi che girano e la cosa sorprendente è che la gente te li sbatte in faccia senza pudore e con maleducazione. Credo che nessuna bodybuilder agonista abbia avuto la fortuna di potersi mantenere al di fuori di battute su un presunto ricorso al doping o su una presunta perdita di femminilità; ogni bodybuilder viene apostrofata come gonfia, troppo grossa e sfatta mentre quelle stesse persone capirebbero di essere delle grandi maleducate se mai avessero il coraggio di dirlo ad una persona obesa. La cicciona dà meno fastidio di noi, nessuno la colpevolizza e tutti la compatiscono. In fondo lei non è là a ricordare loro quello che non hanno il coraggio di essere. Sembra che agli occhi della gente noi stiamo contravvenendo ad una norma e ci meritiamo di essere derise. Ma dove è stata scritta questa norma? E che razza di norma è? Non mi preoccuperei se le altre donne mi dicessero con educazione e rispetto di non volere assomigliarmi. Ma, per me come per te e per tutte le bodybuilder, non accade mai che lo facciano con educazione e rispetto. In fondo ognuno dovrebbe avere la libertà di essere se stesso, anche una donna.



NOTE:

1- Si tratta di:

"Androginia ed autocognizione: l'identità sessuale in un gruppo di culturisti e di sportivi" di M. Bogarelli A. Salvini;

"Il concetto di Sé in un gruppo di donne praticanti il bodybuilding" di C. Mazzini;

"La donna atleta: un tema di psicologia differenziale. Rassegna di problemi e ricerche." di M. Guicciardi A. Salvini,

Raccolti in: La psicologia dell'atleta. Studi e ricerche sulle differenze individuali. a cura di M. Guicciardi e A. Salvini, Milano, Giuffré editore, 1988.